IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. penale a carico di:
 1)  Vecchiattini  Daniele, nato a Massafiscaglia il 3 dicembre 1955 e
 2) Negri Andrea, nato  a  Ferrara  il  12  agosto  1960  ed  entrambi
 domiciliati   c/o   il   comune   di   Massafiscaglia;  imputati:  il
 Vecchiattini,  quale  sindaco  del   comune   di   Massafiscaglia   e
 responsabile  del  settore  di  tutela  dell'ambiente; il Negri quale
 geometra dell'ufficio tecnico - settore lavori pubblici  ed  ambiente
 del comune di Massafiscaglia: del reato p. e p. dagli artt. 21, primo
 e  terzo  comma  della  legge  10 maggio 1976 n. 319 per avere, nella
 citata  rispettiva  qualita',  effettuato  uno   scarico   in   acque
 superficiali,  proveniente  dall'impianto  di  depurazione  comunale,
 avente  parametro  di  azoto   nitroso   superiore   ai   limiti   di
 accettabilita'  di  cui alla tabella II allegata alla legge regionale
 Emilia Romagna n. 7/1983.
    In Massafiscaglia, il 10 settembre 1991.
                             O S S E R V A
    Che il p.m. d'udienza dott.  Pierguido  Soprani  ha  richiesto  la
 pronuncia  di questo pretore in ordine all'ipotesi di rilevanza e non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' del  d.-l.  16
 gennaio  1995 n. 9, nell'intero suo testo, per violazione degli artt.
 25 e 77 della Costituzione, con trasmissione degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
    Osserva  il  pretore  che  la  richiesta  e'  fondata  e  ritiene,
 pertanto,  di  dover  dichiarare  rilevante  e   non   manifestamente
 infondata,  per violazione degli artt. 3, 25 e 77 della Costituzione,
 la questione di  legittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  16
 gennaio 1995 n. 9, nell'intero suo testo, in particolare in relazione
 all'art. 3 dello stesso.
    A tale proposito, si rileva quanto segue:
    Nella  fattispecie  concreta  e'  applicabile  il d.-l. 16 gennaio
 1995, n. 9, in particolare l'art. 3, "Modifiche alla disciplina degli
 scarichi delle pubbliche fognature e degli  insediamenti  civili  che
 non  recapitano  in  pubbliche  fognature", pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 1995. Esso  reitera,  nella  sostanza,
 precedenti  decreti-legge  non  convertiti,  l'ultimo dei quali e' il
 d.-l. 16 novembre 1994 n. 629.
    L'art. 25  cpv.  della  Costituzione  fissa,  tra  gli  altri,  il
 principio della riserva di legge in materia penale.
    E'  implicito  in  tale  principio il fatto che tutte le scelte di
 politica criminale siano monopolio esclusivo del Parlamento, cio'  in
 quanto  la  rappresentativita'  del medesimo si impone quale garanzia
 contro la commissione di arbitri. Il potere legislativo e',  infatti,
 un  centro  dialettico  della  maggioranza  e  delle  minoranze  e le
 decisioni prese si fondono sul dibattito parlamentare dopo vari vagli
 critici.
    L'ammissibilita'  che  nuove  norme  di   diritto   penale   siano
 introdotte attraverso decreti legislativi o decreti-legge e' connessa
 alla  circostanza  che,  in  entrambi  i  casi,  si  realizzi  e  sia
 assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata.
    Rispetto   ai   decreti   legislativi,   il  Parlamento  conserva,
 attraverso la delegazione, la prerogativa della  iniziativa  e  delle
 fondamentali    scelte   politiche,   con   controllo   della   Corte
 costituzionale anche sulla conformita'  di  tali  atti  normativi  ai
 criteri    della   delegazione.   I   decreti-legge   sono,   invece,
 provvedimenti provvisori, destinati, entro  il  termine  di  sessanta
 giorni  previsto  dall'art.  77, ultimo comma, della Costituzione, ad
 essere convertiti in legge o a perdere efficacia ex tunc.
    In  materia  penale,  cio'  significa  che   ai   reati   commessi
 anteriormente  alla data di entrata in vigore di un decreto-legge non
 convertito, si applica la normativa precedente, in quanto un decreto-
 legge non convertito e' privo di effetto fin  dall'inizio.  La  Corte
 costituzionale,  con  sentenza  19  febbraio 1985 n. 51, ha, infatti,
 dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale,   del   quinto   comma
 dell'art.  2  del  c.p.,  nella parte in cui rendeva applicabili alle
 ipotesi da esso previste (e cioe' al caso di mancata  conversione  di
 un  decreto-legge  recante  norme  piu'  favorevoli)  le disposizioni
 contenute nel secondo e terzo comma di tale articolo.
    Tale questione rileva poiche' il decreto-legge in oggetto potrebbe
 non essere convertito.
    Pertanto, alla luce di quanto sopra, il ricorso  al  decreto-legge
 in  materia  penale  oltre  che  talora inopportuno in relazione alla
 complessita' e alla delicatezza delle  questioni  trattate,  presenta
 dei profili di incostituzionalita' per violazione del principio della
 riserva di legge, se e' fatto al di fuori dei rigorosi e straordinari
 estremi  della  necessita' ed urgenza. Lo stesso, inoltre, essendo in
 una posizione  precaria,  puo'  far  venir  meno  le  garanzie  della
 certezza del diritto.
    Si  osserva  che,  nella  materia in questione, invece, i decreti-
 legge, con contenuto parzialmente diverso, si sono reiterati a catena
 per circa un anno, evidenziando,  in  modo  palese,  soprattutto  con
 specifico  riferimento all'ultimo dei decreti emanati, la carenza dei
 requisiti  della  "necessita'  ed  urgenza".  Ora,  se  puo'   essere
 opinabile il fatto che tali requisiti sussistessero rispetto al primo
 dei  decreti emanati in subiecta materia, certamente essi sono venuti
 meno ad un anno di distanza e cioe' dopo un periodo di tempo tale  da
 consentire la normale legiferazione del Parlamento in via ordinaria.
    Inoltre,  con  la  continua  ed  ininterrotta reiterazione di vari
 decreti-legge  mai  convertiti  si  e'  realizzata,  di   fatto,   la
 sottrazione  al  Parlamento della sua esclusiva competenza a disporre
 in  materia  penale,  con   l'inammissibile   assunzione   da   parte
 dell'esecutivo  del relativo potere di bilanciamento e di valutazione
 degli interessi che, in materia penale, e'  di  esclusiva  competenza
 dell'organo assembleare rappresentativo della sovranita' popolare.
    Ancora,  la prassi della reiterazione dei decreti-legge in materia
 penale, ha,  come  nella  specie,  la  conseguenza  di  sottrarre  al
 Parlamento la possibilita' prevista dall'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione, "di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti". E' evidente che, se la reiterazione
 dei  decreti nella stessa materia si protrae per un anno, si potranno
 determinare effetti definitivi quale il giudicato,  non  modificabili
 in  sede  giudiziaria, con la conseguente gravissima compressione dei
 diritti dei singoli, resa ancora piu' incisiva  dalla  disparita'  di
 trattamento  che  potrebbe verificarsi ove due fattispecie identiche,
 ma commesse e/o giudicate sotto la vigenza  di  un  diverso  decreto-
 legge, vengono diversamente giudicate.
    Dalle  considerazioni  esposte  si desume che il presente giudizio
 non puo' essere definito, allo stato e vigenti i principi  del  d.-l.
 n.  9/1995  in  esame,  in  modo indipendente dalla risoluzione della
 questione di legittimita' costituzionale.